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La verità ha un prezzo. Ma anche il silenzio. Oggi la giornata della legalità.

Aggiornamento: 25 mag

Trentatré anni dopo la strage di Capaci, la legalità non può essere ridotta a retorica. È un impegno scomodo, una scelta quotidiana, un rischio da correre in nome della verità. Anche quando le istituzioni dimenticano, anche quando chi denuncia resta solo.

Giovanni Falcone e Capaci
Giovanni Falcone e Capaci

23 Maggio – Giornata della Legalità 33 anni dalla Strage di Capaci


Sono passati trentatré anni.Trentatré anni da quel pomeriggio di maggio in cui il cuore del Paese fu attraversato da un’esplosione che non fu solo fisica, ma morale, civile, istituzionale. Quel 23 maggio 1992, alle 17:58, sull’autostrada A29 all’altezza di Capaci, la mafia uccise il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Uccise lo Stato, o meglio, colpì lo Stato che stava provando ad alzare la testa. Colpì chi aveva deciso di non voltarsi dall’altra parte. Colpì chi aveva capito che la mafia si combatte non con le parole, ma con i fatti. Con la verità, con la giustizia, con l’esempio.


Oggi li ricordiamo. Ma ricordarli non basta. Oggi è la Giornata della Legalità, e se questa parola ha ancora un senso, non può essere svuotata da commemorazioni formali, da frasi di circostanza, da post istituzionali che il giorno dopo vengono dimenticati. Legalità non significa solo obbedire alle leggi. Legalità è rispetto, coerenza, responsabilità. È fare ciò che è giusto anche quando è difficile. E allora dobbiamo dirlo, con chiarezza e senza paura: troppe volte la legalità viene tradita proprio da chi dovrebbe tutelarla.


Giovanni Falcone 18.05.1939 - 23.05.1992
Giovanni Falcone 18.05.1939 - 23.05.1992

Le istituzioni che piangono Falcone sono, talvolta, le stesse che ignorano il suo insegnamento. Che costruiscono impunità. Che tollerano zone grigie, corruzione, favoritismi, abusi. Le stesse che girano lo sguardo quando la legge viene aggirata per convenienza. Le stesse che parlano di "sicurezza" e "giustizia", ma dimenticano l’articolo 36 del Codice della Strada, o trasformano strumenti di tutela in strumenti di profitto e vessazione.


E poi c'è l'omertà. Non solo quella storica, delle mafie tradizionali, ma anche quella sottile, quotidiana, che serpeggia nei corridoi degli uffici pubblici, nei commenti sui social, nei silenzi delle aule consiliari. L'omertà è la paura di esporsi, di dire la verità, di denunciare un’ingiustizia anche quando la vediamo con i nostri occhi. È il timore di perdere un lavoro, di essere esclusi, di diventare un bersaglio. Ma questa paura è il primo strumento del potere corrotto. È la linfa che nutre il sistema che vorremmo combattere. Se chi sa tace, chi sbaglia vince. E allora sì, parlare costa. Ma tacere ci costa molto di più. La libertà, come diceva Pertini, è partecipazione. E partecipare vuol dire rischiare. Anche solo con le parole. Anche solo con la verità.


Noi, nel nostro piccolo, non abbiamo l’ardore di chi ha sacrificato la vita. Ma abbiamo qualcosa che non ci toglieranno mai: la volontà di non arrenderci. Ogni volta che denunciamo un’ingiustizia, ogni volta che mettiamo in luce una violazione nascosta dietro la retorica del “è tutto regolare”, ogni volta che scegliamo la verità invece del silenzio, noi stiamo facendo legalità.Noi stiamo onorando Falcone, Borsellino, e tutti i servitori dello Stato caduti per mano della mafia – quella che spara e quella che indossa la cravatta.

I Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
I Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Legalità è anche disobbedienza civile, quando la legge viene usata come arma contro i cittadini. Legalità è chiedere trasparenza, quando tutto viene nascosto sotto coltri di burocrazia e complicità.Legalità è pretendere rispetto, quando il potere dimentica da chi proviene.


Chi oggi dice che "la mafia è stata sconfitta", mente. La mafia non è solo coppole e pistole. La mafia è anche arroganza, è potere senza controllo, è consenso costruito sulla paura e sulla rassegnazione. È cultura del privilegio. È “non mi riguarda”. È “è sempre stato così”.


Ma noi non vogliamo rassegnarci. Giovanni Falcone diceva che “la mafia è un fenomeno umano, e come tutti i fenomeni umani ha un inizio e avrà anche una fine”. Ma quella fine non arriverà da sola. Arriverà solo se ognuno di noi farà la propria parte. Con coraggio. Con ostinazione. Con amore per la verità. E allora oggi, più che mai, non commemoriamo: scegliamo. Scegliamo di essere scomodi. Scegliamo di alzare la voce. Scegliamo di stare dalla parte della legalità vera, quella che non fa sconti, quella che non cerca applausi, quella che non ha paura.


Perché ricordare Falcone significa continuare la sua battaglia, giorno dopo giorno. Con dignità, con coerenza, con passione civile. Anche quando siamo pochi. Anche quando ci sentiamo soli. Anche quando chi dovrebbe essere dalla nostra parte ci volta le spalle. La memoria è un dovere. Ma la giustizia è un impegno.



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