Per la Suprema Corte, non incorre nella sanzione che punisce l’omessa comunicazione dell’identità del conducente al momento dell’infrazione, solo chi non è in grado di comunicarlo per un “documentato” e “giustificato motivo” ma al contempo, non si può equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dovendo essere concesso il diritto di difesa all'interessato, trattandosi di una presunzione relativa di responsabilità.
Stiamo parlando dell'articolo 126-bis Comma 2 del Codice della Strada, che obbliga il sanzionato, nel caso di sanzione accessoria della decurtazione dei punti sulla patente, di comunicare entro 60 giorni il dati del conducente.
Ma esiste la possibilità di aggirare o evitare questo obbligo in caso di ricorso? Ebbene, per la Cassazione assolutamente si capiamo di seguito come e perche. Il motivo è giustificato solo in poche situazioni e precisamente, nel caso di detenzione del veicolo da parte del proprietario o la situazione imprevedibile e incoercibile che impedisca al proprietario stesso di sapere chi lo abbia guidato in un determinato momento.
A stabilirlo una importante sentenza della Corte di Cassazione, Sezione seconda, che ha esaminato e deciso su questo caso:
Un conducente riceve una multa dal Comune di Bari per eccesso di velocità. Alla domanda di comunicare le generalità di chi era alla guida al momento dell’infrazione, l'automobilista risponde che, avendo utilizzato il veicolo di proprietà aziendale durante il mese di agosto con tutta la famiglia, ed essendosi alternato alla guida con la moglie, non era in grado di dire chi fosse alla guida al momento della violazione.
Gli viene comunque comminata la multa prevista per la mancata comunicazione dei dati del conducente, di cui all’art. 126-bis comma 2 del codice della strada. Ma il Sig (Omissis) impugna la contravvenzione e il Giudice di Pace gli dà ragione. La controversia passa in appello impugnata dalla P.A., ma anche il Tribunale, conferma la decisione di primo grado. Non soddisfatto, il Comune di Bari propone ricorso per Cassazione, e anche la Suprema Cote gli da torto e cassa la sentenza rinviando al Tribunale che, in persona di altro magistrato, dovrà rifare il giudizio.
Dichiara la Suprema Corte che: “...Il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere in grado di adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente”.
Quindi, ribadisce la Cassazione, si è obbligati a conoscere a chi si affida il proprio veicolo, ma, continuano i magistrati: “In ragione dell’esistenza di tale dovere, un giustificato motivo di mancata conoscenza, da parte del proprietario del veicolo, dell’identità di chi ne abbia avuto la guida è configurabile nei casi di cessazione della detenzione del veicolo da parte del proprietario”.
Nel caso di furto o di cessione in comodato della vettura con contratto regolarmente registrato, oppure si è esenti "in presenza di situazioni imprevedibili ed incoercibili che impediscano al proprietario di un veicolo di sapere chi lo abbia guidato in un determinato momento nonostante che egli abbia (e dimostri in giudizio di avere) adottato ogni misura idonea ed esigibile secondo criteri di ordinaria diligenza, a garantire la concreta osservanza del dovere di conoscere e di ricordare nel tempo l’identità di chi si avvicendi alla guida del veicolo (ad esempio, redigendo e conservando elementari annotazioni scritte)”.
Per la Suprema Corte, non basta perciò giustificarsi dicendo che non si sa chi era alla guida, ma bisogna dimostrare di aver fatto tutto il possibile per saperlo, “...non potendosi ritenere, per contro, giustificato il proprietario che dichiari di ignorare chi sia il conducente del veicolo senza aver dimostrato quali misure egli abbia adottato per conservare la memoria di chi abbia detenuto il veicolo”.
Tale sentenza si discosta dalle precedenti pronunce della stessa Suprema Corte di Cassazione, valorizzando la Sentenza n.165 del 2008 della Corte Costituzionale nella parte in cui il giudice delle leggi stabilisce che "...non si può equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione e deve essere concesso il diritto di difesa all'interessato trattandosi di una presunzione relativa di responsabilità. Deve infatti essere distinto il rifiuto del proprietario di fornire i dati del conducente rispetto alla sua dichiarazione negativa supportata da giustificazioni e quest'ultima deve essere valutata concretamente dal giudice".
Si tratterà di misure, precisa la Corte: “...non catalogabili in astratto, ma la cui ragionevole esigibilità nella vita quotidiana non può che variare in ragione della diversità delle situazioni concrete, evidente essendo che la gestione di un parco macchine aziendale è diversa dalla gestione del veicolo di un nucleo familiare; anche in quest’ultimo caso, tuttavia, chi sia intestatario del veicolo è gravato di un dovere di controllo e di memoria, nel cui adempimento potrà farsi aiutare dai componenti del nucleo e la cui inosservanza lo espone, qualora non dimostri di aver fatto quanto ragionevolmente necessario per osservarlo, alla responsabilità prevista dall’art. 126 CdS comma 2”.
Il ricorso proposto dal Comune di Bari veniva quindi respinto condannando al risarcimento delle spese e tasse la stessa Amministrazione Comunale a favore dell'automobilista.
Komentarze