Cassazione Penale: Responsabilità attuali delle amministrazioni "non possono non sapere".
- Altvelox
- 3 giorni fa
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Da questo momento, ogni amministrazione che continui a utilizzare dispositivi privi di omologazione entra in un’area di rischio elevatissimo, non solo sul piano amministrativo ma anche sul piano penale e contabile e le procure hanno ancora più obbligo di intervenire rispetto alle denunce nei loro cassetti.

La sentenza choc della Cassazione Penale
I Comuni continuano a fare cassa con autovelox che non potrebbero neppure essere accesi e le Procure continuano a guardare altrove. Questo, in sintesi, è il quadro dopo la sentenza della Sesta Sezione Penale della Cassazione n. 36051 del 5 novembre 2025, che ha certificato il fumus di frode in pubbliche forniture e falso ideologico legato all’uso di dispositivi solo approvati e non omologati, come impone invece l’articolo 142 comma 6 del Codice della strada.
Da un lato ci sono le amministrazioni locali che continuano imperterrite a sanzionare i cittadini con strumenti privi del requisito tecnico giuridico essenziale. Dall’altro ci sono le Procure della Repubblica, destinatarie di circa 190 denunce querele presentate dalla nostra associazione in tutta Italia, che ad oggi non risultano avere attivato indagini incisive e coordinate all’altezza della gravità del fenomeno. Il risultato è un sistema opaco che scarica sui cittadini il costo economico e psicologico di scelte amministrative consapevoli e di una inerzia giudiziaria difficilmente giustificabile.
Dopo la sentenza 36051/2025 nessun sindaco, nessun comandante di Polizia locale, nessun segretario comunale può più sostenere di non conoscere la differenza tra “approvazione” e “omologazione”. La Cassazione ha ribadito che gli autovelox utilizzati per la contestazione differita delle violazioni dei limiti di velocità devono essere omologati, non semplicemente approvati. Tutto il resto è fumo negli occhi. Non è un dettaglio formale, è il presupposto di legittimità di milioni di verbali. Continuare a far finta di nulla, mantenere in funzione impianti che si sa essere privi di omologazione, significa perseverare in una scelta che non è più solo politicamente discutibile, ma giuridicamente pericolosa.

Responsabilità dei Comuni e delle Ditte
L’illecito non si esaurisce nel rapporto tra Comune e fornitore. Se da un lato i produttori rispondono del reato di frode in pubbliche forniture, per avere consegnato apparecchi difformi rispetto a quanto previsto dai capitolati (dispositivi omologati) e dunque non idonei allo scopo di legge, dall’altro le amministrazioni che insistono nell’uso di questi strumenti, in presenza di un quadro normativo e giurisprudenziale ormai cristallino, entrano in un’area di corresponsabilità che non può più essere archiviata con la formula “non lo sapevamo”. Chi oggi lascia acceso un autovelox non omologato lo fa in piena consapevolezza.
Ogni verbale emesso con questi apparati alimenta un duplice circuito patologico. Da una parte si continua a produrre atti fondati su dati provenienti da strumenti che la Cassazione ha definito tecnicamente inutilizzabili, con evidente rilevanza rispetto ai reati di falso ideologico e alle fattispecie di rifiuto o omissione di atti d’ufficio quando gli amministratori scelgono di non intervenire per fermare il meccanismo. Dall’altra, si gonfiano bilanci comunali con entrate che, sul piano sostanziale, si fondano su presupposti illegali. È denaro pubblico costruito su un vizio originario, che espone gli enti a possibili azioni restitutorie dei cittadini e a rilievi della Corte dei conti per responsabilità erariale.
Le procure e l'azione penale
In questo scenario la domanda sulle Procure è diretta e inevitabile. A cosa servono 190 denunce querele se l’obbligatorietà dell’azione penale resta lettera morta quando tocca interessi strutturali, rapporti consolidati tra fornitori, apparati amministrativi e flussi di entrata per i bilanci comunali. Le notizie di reato ci sono, sono circostanziate, documentate, spesso accompagnate da verbali, determine, contratti di fornitura, fotografie degli impianti e riscontri normativi puntuali. La Cassazione ha appena confermato il fumus dei reati più gravi. Eppure, il quadro che emerge è quello di una frammentazione di iniziative, quando non di un silenzio totale, in cui la scelta di non vedere produce un effetto devastante sulla fiducia dei cittadini nella giustizia.
Le Procure non possono limitarsi a considerare queste vicende come piccoli contenziosi da lasciare al giudice di pace o alle aule del giudice civile. Qui non parliamo del singolo verbale, parliamo di un sistema nazionale di fornitura, installazione e utilizzo di dispositivi illegittimi, che coinvolge amministrazioni di ogni dimensione dal piccolo comune al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e persino al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Con 190 denunce formalizzate, il quadro è quello di un fenomeno seriale, non di episodi isolati. L’inerzia investigativa, in presenza di una pronuncia di legittimità che conferma la gravità delle condotte, rischia di trasformarsi essa stessa in un problema istituzionale.
L'Intelligenza artificiale non è cosi tanto intelligente
Chi continua ad azionare questi autovelox e chi continua a non indagare su queste condotte manda un messaggio preciso alla collettività: le regole valgono per il cittadino sanzionato, non per l’ente che usa strumenti illegittimi, non per il sistema che incassa e che, nel frattempo, tramite società private, si riposiziona sul mercato sponsorizzando sulla stampa “amica” nuovi sistemi elettronici basati sulla cosiddetta intelligenza artificiale, capaci di fotografare i conducenti col telefonino in mano, senza cinture allacciate o di immortalare chi effettua sorpassi.

In queste campagne commerciali le ditte arrivano perfino ad affermare ai Comuni che per tali apparati non sarebbe necessaria alcuna omologazione, affermazione gravissima perché, anche per questi sistemi, l’omologazione metrologica è un presidio imprescindibile di legalità prevista dalla stessa legge degli autovelox analogici, mentre la stessa natura variabile e non definibile a priori degli algoritmi rende, allo stato, l’intelligenza artificiale strutturalmente non omologabile secondo i canoni previsti dalla normativa tecnica e dal Codice della strada. Se non esistono specifici standard tecnico legali che descrivano in modo chiaro, verificabile e ripetibile i criteri con cui l’apparato “vede”, elabora, riconosce una condotta vietata e la traduce in sanzione, quale valore di prova legale possono mai avere simili apparecchi davanti a un giudice.
È esattamente il contrario di ciò che dovrebbe presidiare lo Stato di diritto. Gli impianti non omologati vanno spenti subito, i contratti vanno rivisti, le responsabilità penali e contabili vanno accertate con serietà. E le 190 denunce querele depositate nei fascicoli delle Procure non possono restare lì, a prendere polvere, mentre i Comuni continuano a fare cassa su un impianto sanzionatorio che la Cassazione ha appena definito per quello che è: un sistema gravemente viziato, che non può più essere tollerato.






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