Autovelox: Ammissione dei fornitori, inerzia pubblica, richiesta di risarcimento allo Stato per 600mila euro.
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- 4 giorni fa
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Attenzione perchè questa notizia è il punto di svolta e determinerà un terremoto. La più importante società italiana del settore, la Ci.Ti.Esse Srl, ha chiesto ai Ministeri dei Trasporti e del Made in Italy un risarcimento da oltre 600 mila euro, ammettendo di fatto che tutti i rilevatori installati dai Comuni sono privi di omologazione. Le aziende sanno da sempre che gli strumenti non rispettano la legge, ma li hanno venduti comunque e continuano a venderli e i Comuni ad usarli. Una vicenda che travolge l’intero sistema sanzionatorio italiano e chiama in causa la Procura Generale e la Corte dei Conti.

Il Documento ci era stato trasmesso direttamente dall'Amministratore Delegato della C.Ti.Esse S.r.l. qualche giorno fa, ma per estrema correttezza non avevamo ritenuto opportuno darne notizia. Oggi abbiamo letto della questione su un organo di stampa e quindi la pubblichiamo.


La diffida firmata il 23 ottobre 2025 dall’avvocato Pasquale Didona per conto della Ci.Ti.Esse Srl, depositata al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, è un documento che segna uno spartiacque. La società di Rovellasca, leader nella produzione e gestione di dispositivi elettronici per il controllo della velocità, ammette nero su bianco che tutti gli autovelox commercializzati e utilizzati in Italia non sono omologati come richiede l’art. 192 del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada (D.P.R. 495/1992). In altre parole, non sono legali.
La richiesta di risarcimento di oltre 600mila euro per danni economici diretti e d’immagine, oltre agli interessi non è solo un contenzioso tra un’impresa e lo Stato, ma una confessione formale che conferma quanto i cittadini denunciano da anni: le sanzioni elevate con tali strumenti sono giuridicamente nulle.
Il documento ricostruisce la sequenza normativa: la mancata emanazione del decreto ministeriale di omologazione, previsto da oltre trent’anni, ha generato una catena di illegalità. I Ministeri, invece di adottare il regolamento, hanno continuato a rilasciare semplici “approvazioni” amministrative, spacciandole per equivalenti all’omologazione. Una pratica elusiva che la Cassazione ha ormai demolito con una giurisprudenza costante, a partire dall’ordinanza n. 10505/2024 fino alle recenti decisioni del 2025.
Secondo la stessa Ci.Ti.Esse, molti Comuni, spaventati dal rischio di nullità dei verbali, hanno sospeso contratti e revocato delibere di spesa, provocando la crisi del mercato dei rilevatori. Ma il vero danno non è quello delle aziende. È quello dei cittadini multati per anni con strumenti illegittimi e privi di valore probatorio, che hanno alimentato bilanci comunali e piani economici fondati sull’illegalità.
La società tenta ora di scaricare la colpa sui Ministeri, invocando l’art. 2043 c.c. per illecito omissivo e richiamando principi costituzionali di buona amministrazione. Ma l’effetto è paradossale: la stessa azienda che per decenni ha fornito e gestito apparecchi privi dei requisiti di legge, oggi riconosce pubblicamente che l’intero sistema sanzionatorio basato su quegli strumenti non regge giuridicamente.
È una vera autodenuncia collettiva. Le ditte conoscevano la mancanza di omologazione, i Comuni sapevano che le “approvazioni” non bastavano, i Prefetti hanno continuato a emettere decreti su strade non idonee ex art. 2 Codice della Strada, e lo Stato ha omesso di intervenire.
Oggi il vaso di Pandora è scoperchiato. Ci.Ti.Esse non chiede solo un decreto tecnico, ma un salvacondotto politico e giudiziario per sé e per l’intero settore. Ma la domanda vera è un’altra: cosa aspetta la magistratura a intervenire? Perché se persino chi ha costruito il sistema ammette che era illegale, il silenzio delle Procure e della Corte dei Conti non è più tollerabile.





