Piacenza: “Attenta-Mente” e i box arancioni: non abbiamo mai parlato di autovelox, ma di scatole vuote.
- Altvelox
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Progetto sospeso solo dopo l’intervento di Altvelox. Mentre oggi si difendono i box arancioni usati come spaventapasseri identici ad autovelox, in pratica sono stati smontati. Qualcuno, nel frattempo, deve avere fatto cambiare idea a Palazzo Mercanti.

Il sindaco di Piacenza si deve essere offeso per la brutta figura e attraverso dichiarazioni riportate dalla stampa locale, ribadisce che “i box arancioni non sono velox e sono legittimi” e che le critiche di Altvelox sarebbero “prive di fondamento”, inserendole in una presunta linea di attacco sistematico contro i limiti di velocità e i controlli.
Conviene partire da qui, perché la ricostruzione è fuorviante su un punto essenziale: Altvelox non ha mai sostenuto che a Piacenza fossero stati installati “autovelox illegali”. Ha sempre parlato di scatole vuote, di manufatti scenografici, usati per simulare un controllo elettronico che, nei fatti, non c’è.

Il cuore del problema è questo, semplice e scomodo. Il Comune ha riempito la città di scatole arancioni esteticamente identiche ad autovelox, le ha inserite in un progetto battezzato “Attenta-Mente” e le ha presentate in conferenze stampa come strumenti di sicurezza, educazione, psicologia del traffico, con tanto di riferimenti a Prefettura e Ministero dell’interno. Poi, quando Altvelox ha chiesto gli atti, è emersa una realtà ben diversa: niente omologazioni, niente certificazioni metrologiche, niente piani del traffico ex art. 36 C.d.S., niente studi indipendenti a supporto. Solo una narrativa molto curata e pochissima sostanza amministrativa.
La stessa amministrazione, nella risposta alla nostra istanza di accesso, ha ammesso che i box arancioni hanno “finalità esclusiva di rilevazione statistica” e che sono identici a veri velox “ma senza capacità sanzionatoria”. Quindi, nessuno strumento di misurazione approvato o omologato ai sensi dell’art. 142 C.d.S., ma semplici contenitori, privi di titolo metrologico autonomo. Esattamente ciò che Altvelox va denunciando: la modifica del comportamento di guida non avviene per un controllo legittimo, ma per timore indotto da un oggetto che finge di essere un autovelox senza esserlo.
Su questo punto, non è Altvelox ad “inventare” interpretazioni creative. È il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con nota formale, a chiarire che VeloBox, Velo Ok, Speed Check, Trubox e simili sono solo supporti al controllo, meri contenitori per eventuali apparecchi approvati od omologati. Per queste scatole, il MIT precisa che non è prevista alcuna omologazione e che ogni utilizzo che non consista nell’alloggiamento di misuratori di velocità regolari è un uso non appropriato, privo di quella funzione descritta dalla normativa. In altre parole: scenografia sì, ma il diritto è da un’altra parte.
In questo quadro, il tema della trasparenza non è un dettaglio formale. A fronte di una articolata istanza di accesso, il Comune ha fornito una documentazione gravemente lacunosa, rinviando a link generici e frammenti che non permettono di ricostruire affidamenti, capitolati, basi tecniche, curricula, valutazioni di efficacia. È una “trasparenza a metà” che contrasta con gli artt. 22 e seguenti della L. 241/1990 e con l’art. 5 del d.lgs. 33/2013, e che ha reso inevitabile il coinvolgimento di ANAC e della Corte dei conti per i possibili profili di violazione dei doveri di pubblicità e di danno erariale.
Poi ci sono i fatti, quelli testardi. Dopo le nostre richieste di accesso, dopo le contestazioni pubbliche, dopo il deposito di denuncia in Procura, il progetto “Attenta-Mente” non arriva neppure ai dodici mesi di sperimentazione annunciati. Le colonnine vengono progressivamente rimosse, restituite al fornitore, archiviate.
Mentre oggi si ripete che il sistema sarebbe perfettamente legittimo, in concreto è stato smontato. Se era tutto così corretto e in linea con la legge, non si comprende perché interrompere la sperimentazione e rinunciare a un progetto tanto difeso a parole. Noi un’idea ce l’abbiamo: qualcuno, negli uffici che contano, le ha consigliato di cambiare rotta.
Il caso di Piacenza, poi, non vive nel vuoto. La Corte di Cassazione, con una lunga serie di pronunce, ha ribadito che per gli strumenti di rilevazione della velocità occorre omologazione, che “approvazione” non equivale a omologazione e che la Pubblica amministrazione deve essere in grado di dimostrare, in caso di contestazione, la piena regolarità tecnica dell’apparecchio utilizzato. In questo contesto, la figura delle scatole vuote usate come deterrente psicologico è ancora più problematica: siamo fuori dal perimetro tracciato dalla giurisprudenza e persino dalle stesse precisazioni del MIT.
Altvelox non è “contro i limiti di velocità” né contro i controlli. È contro i giochi di prestigio sulla pelle degli utenti della strada. La sicurezza si costruisce con piani del traffico seri, controlli effettuati con strumenti regolarmente omologati e verificabili, trasparenza piena sugli appalti e sull’uso dei fondi, non con colonnine colorate che imitano autovelox senza esserlo. Per questo continueremo a consegnare atti e documenti alle autorità competenti e a raccontare ai cittadini come stanno davvero le cose.
Piacenza, con “Attenta-Mente”, ha trasformato un tema serio in un esperimento scenografico finito male. Le scatole arancioni sono tornate in magazzino, mentre restano aperte le domande su chi risponderà dei costi, delle scelte amministrative e della fiducia tradita di chi, su quelle strade, ha il diritto di essere tutelato da strumenti regolari, non da scatole vuote.





