Ventimiglia: La Cassazione "invita" il Comune a desistere da otto ricorsi manifestamente infondati.
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- 6 giorni fa
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Una decisione che pesa come un macigno: la Suprema Corte ha giudicato ben otto ricorsi manifestamente infondati i ricorsi dell’amministrazione ligure. Ora Ventimiglia ha 40 giorni di tempo per scegliere se rinunciare o spingersi fino allo scontro finale. Una lezione che dovrebbe far riflettere anche altri amministratori: tra questi, il Sindaco di Torri del Benaco (VR), che proprio ieri ha dichiarato l’intenzione di portare la sua battaglia sugli autovelox davanti alla Cassazione.

La Corte di Cassazione ha suggerito al Comune di Ventimiglia di rinunciare ai ricorsi presentati contro le sentenze del Tribunale di Imperia sull’autovelox installato in località Porra. È una decisione importante, che segna un punto fermo nella lunga vicenda giudiziaria nata attorno a uno dei dispositivi più contestati della Liguria.
Tutto parte dai numerosi verbali di violazione del limite di velocità elevati con l’autovelox di Porra, poi impugnati dai cittadini davanti al Giudice di Pace di Sanremo. Quest’ultimo, accogliendo le opposizioni, aveva annullato le multe ritenendo il dispositivo non regolarmente omologato ai sensi dell’art. 45 del Codice della Strada. Il Tribunale di Imperia aveva confermato quegli annullamenti.
Nonostante ciò, l’amministrazione comunale ha deciso di proseguire in Cassazione, depositando circa venti ricorsi. La Suprema Corte, però, ha ora espresso un orientamento netto: otto di quei ricorsi sono stati giudicati “manifestamente infondati” e trasmessi alla sezione filtro ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. In altre parole, per i giudici di legittimità non esistono motivi giuridici sufficienti per rimettere in discussione le decisioni dei tribunali liguri.

La Cassazione ha quindi invitato il Comune a valutare la possibilità di rinunciare ai ricorsi, aprendo una finestra di 40 giorni per decidere se proseguire o abbandonare la battaglia. Se il Comune non agirà entro il termine, i ricorsi saranno dichiarati estinti ai sensi dell’art. 391 c.p.c., con conseguente chiusura automatica dei procedimenti.
Sul piano tecnico-giuridico, la questione è ormai chiara. La Cassazione, con più pronunce recenti (tra cui Cass. n. 10505/2024 e Cass. n. 13996/2025), ha ribadito che un dispositivo di rilevamento elettronico può essere utilizzato per fini sanzionatori solo se regolarmente omologato dal Ministero competente, oggi il MIMIT. L’“approvazione tecnica” o la “determinazione dirigenziale” del MIT non bastano: l’omologazione deve essere rilasciata con decreto ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
In mancanza di tale decreto, ogni verbale è viziato da illegittimità originaria, poiché manca il presupposto tecnico-giuridico che conferisce al dispositivo valore probatorio. E se l’amministrazione, pur conoscendo tale carenza, continua a utilizzare o difendere l’apparecchio, possono emergere profili di rilevanza penale. Non più l’abuso d’ufficio, ormai abrogato, ma altre fattispecie come la falsità ideologica in atto pubblico (art. 479 c.p.), il peculato d’uso o la truffa ai danni dello Stato (art. 640 c.p.), laddove si utilizzino fondi pubblici o si procurino vantaggi economici indebiti.

Sul fronte amministrativo, la vicenda di Ventimiglia rappresenta un caso emblematico. La rinuncia ai ricorsi potrebbe evitare ulteriori spese legali e consolidare un orientamento giurisprudenziale che ormai sembra univoco. Ma significherebbe anche ammettere che l’impianto non era legittimo sin dall’origine, con inevitabili conseguenze sull’immagine del Comune e sul destino di migliaia di sanzioni già riscosse o pendenti.
La decisione non è semplice, ma la strada è segnata. O il Comune riconosce l’errore e si ritira, oppure insiste e rischia una nuova sconfitta, aggravata da ulteriori condanne alle spese. La Suprema Corte ha lasciato intendere chiaramente la propria posizione: la legalità non può essere piegata alla convenienza.
Se Ventimiglia vorrà voltare pagina, dovrà farlo partendo da qui: dalla piena trasparenza sugli atti, dal rispetto del principio di legalità e dalla consapevolezza che la sicurezza stradale non può poggiare su strumenti privi di validità giuridica.
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