Ecco perché abbiamo denunciato la giudice di Bologna. Fatti e diritto che non lasciano alibi.
- Altvelox
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min
Omologazione, non approvazione, la Cassazione parla e il Codice della strada comanda, l’articolo 201 non è un jolly, l’onere della prova non si ribalta sul cittadino, l’eco mediatica non fa diritto ma destabilizza i cittadini e fornisce l'alibi per l'uso dei strumenti illegali. La Procura verifichi atti e presupposti.

Altvelox ha presentato denuncia-querela contro la dott.ssa Alessandra Cardarelli, giudice del Tribunale civile di Bologna, perché con la sentenza 1816 del 10 luglio 2025 ha ritenuto valida una multa rilevata con un autovelox semplicemente approvato, non omologato, leggendo l’articolo 142 insieme all’articolo 201 del Codice della strada come se le due procedure fossero equivalenti e spostando sull’automobilista l’onere di provare il malfunzionamento. Una scelta che per noi è contraria alla legge e alla giurisprudenza consolidata, oltre che socialmente destabilizzante, perché confonde regole e responsabilità e no, questo non è un dettaglio tecnico, è il cuore delle garanzie per tutti gli utenti della strada .
Il punto di partenza è semplice e non negoziabile, i giudici sono soggetti soltanto alla legge, devono motivare in modo intelligibile e non possono eludere i principi nomofilattici della Cassazione, quando una decisione si discosta senza una motivazione specifica e stringente non è indipendenza, è arbitrio, e l’arbitrio non è tollerato dalla Costituzione, lo diciamo senza giri di parole perché è un dovere verso i cittadini, non un vezzo da addetti ai lavori.

Nel caso concreto, il Tribunale ha ricostruito così, apparecchio solo approvato, non omologato, lettura combinata di articolo 142, articolo 201 e articolo 4 del decreto legge 121 del 2002, conclusione, per gli accertamenti automatici basterebbe l’approvazione, con l’ulteriore affermazione che anche seguendo la Cassazione l’esito non cambierebbe perché l’articolo 142 attribuirebbe una prova privilegiata superabile solo se l’utente dimostra il malfunzionamento, risultato finale, appello rigettato, spese compensate, contributo unificato aggiuntivo, questo è il quadro da cui siamo partiti per reagire, in diritto e con atti alla mano .
La nostra posizione è altrettanto lineare, l’articolo 201 disciplina la notificazione differita, non crea alcuna equivalenza tra approvazione e omologazione, questa equivalenza non esiste nel Codice e non la possono creare prassi o circolari, inoltre a fronte di contestazione spetta alla Pubblica amministrazione dimostrare omologazione iniziale e taratura periodica, solo dopo il cittadino deve eventualmente provare vizi residui, pretendere che l’utente dimostri il malfunzionamento quando manca proprio l’omologazione significa ribaltare le regole del gioco e questo non regge, né sul piano della legge né su quello del buon senso, provate a immaginare, chiediamo al cittadino di dimostrare il difetto di uno strumento che lo Stato non ha qualificato secondo la procedura più rigorosa, è un corto circuito, non un’interpretazione .
C’è poi un fatto concreto che ha aggravato la situazione, la viralità della notizia dal 3 settembre ha prodotto titoli eclatanti, utilizzati da più sindaci come alibi per riattivare dispositivi spenti, senza verificare presupposti basilari come l’effettiva omologazione del modello, la visibilità e la preventiva segnalazione delle postazioni, la copertura di decreti prefettizi e le condizioni tecniche d’uso, questo non è giornalismo giuridico, è clickbait, e la giurisprudenza non si riscrive con i titoli, in diritto contano le norme e i decreti, non i lanci d’agenzia, vale per tutti, amministratori compresi, che sono chiamati a leggere le sentenze e rispettare le regole prima di accendere un apparecchio che stampa verbali a catena .

Non ci limitiamo alla critica, abbiamo chiesto iniziative investigative puntuali, acquisire fascicoli tecnici, decreti, certificati di omologazione e approvazione, libretti metrologici, registri di taratura e convenzioni, verificare i presupposti di legittimità delle postazioni e, dove ricorrano i presupposti di legge, sequestrare gli apparecchi privi di omologazione e i flussi informatici che alimentano i verbali del Comune di Bologna, inoltre, ove emergano attestazioni ideologicamente false o travisamenti qualificati di dati tecnici presentati come fatti, valutare i reati di falsità in atti e di rifiuto o omissione di atti d’ufficio, con ogni altra ipotesi ravvisabile, inclusa la responsabilità erariale per indebita emissione e riscossione di sanzioni, il messaggio è semplice, niente zone franche, gli strumenti devono essere legali per produrre effetti legali, altrimenti quei verbali non stanno in piedi.
A presidio del metodo, ricordiamo quanto ci è stato scritto dal Segretario generale del Csm, il Csm non valuta il merito dei provvedimenti, "i magistrati come chiunque cittadino, rispondono al giudice ordinario se violano la legge", un principio che esclude immunità di fatto e rafforza l’obbligo della Procura di iscrivere la notizia di reato e verificare i profili penalmente rilevanti, disciplinari e organizzativi, compresi i criteri di assegnazione degli affari e l’eventuale esistenza di contatti extra procedimentali, la giurisdizione non è terra franca, questo è il punto, e su questo noi, per mestiere e per statuto, non arretriamo di un passo.
In conclusione, abbiamo denunciato perché la sentenza contrasta con il diritto vivente che pretende l’omologazione, perché l’articolo 201 non riscrive l’articolo 45 né l’articolo 142, perché l’onere della prova non si ribalta sul cittadino quando manca il presupposto tecnico legale, e perché l’amplificazione mediatica non può sostituire i requisiti di legge, vogliamo un’istruttoria rigorosa, vogliamo chiarezza, vogliamo che chi governa legga le sentenze e che chi applica la legge lo faccia con imparzialità, terzietà e motivazione completa, il resto sono slogan, e con gli slogan non si fa sicurezza stradale, né giustizia.
Commenti