Barcavelox fuorilegge a Venezia: 56 telecamere installate senza omologazione violano il Codice della Strada e la normativa metrologica.
- Altvelox
- 15 ago
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Il Comune di Venezia utilizza sistemi di rilevamento non conformi, in aperto contrasto con la Cassazione e con l’obbligo inderogabile di omologazione degli strumenti sanzionatori. Il Comune era già stato condannato dalla Cassazione per un precedente analogo sistema (ARGOS) sempre non omologato poi fatto disinstallare con uno sperpero di denaro pubblico ancora non definito.

La Legge 25 novembre 2024, n. 177, all’art. 11, ha introdotto disposizioni specifiche per il rilevamento delle violazioni dei limiti di velocità nella navigazione lagunare, prevedendo l’utilizzo di apparecchiature “approvate od omologate” dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) o da enti vigilati. Tuttavia, la norma non può essere interpretata in deroga al principio generale, di rango primario, sancito dal Codice della Strada e ribadito dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui tutti gli strumenti elettronici sanzionatori devono essere debitamente omologati e non semplicemente approvati, al fine di garantire la certezza metrologica e la validità probatoria delle rilevazioni (Cass. n. 10505/2024 e successive).
Il Comune di Venezia, procedendo all’installazione e attivazione di 56 telecamere “barcavelox” nella laguna, ha di fatto introdotto un sistema sanzionatorio basato su dispositivi che non risultano muniti di valida omologazione, ma unicamente di procedure di approvazione prive di valore metrologico legale. Tale condotta integra una violazione diretta dell’art. 45, comma 6, CdS e del principio di tipicità degli atti amministrativi, esponendo l’Ente a plurimi profili di illegittimità e possibile responsabilità penale, in particolare per falso ideologico e abuso d’ufficio, qualora vengano emessi verbali privi di base legale.
Inoltre, la previsione transitoria di cui al comma 2 dell’art. 11 della Legge n. 177/2024, che consente l’uso “in via sperimentale” di apparecchiature non ancora omologate, non può essere utilizzata per eludere le prescrizioni di legge in materia di strumenti metrologici, non essendo il MIT l’ente competente al rilascio dell’omologazione di tali strumenti ai sensi della normativa nazionale e comunitaria. In mancanza di un titolo abilitativo valido, i dati raccolti sono affetti da inutilizzabilità tecnica e giuridica, rendendo nullo ogni verbale emesso sulla base di tali rilievi.

Il Comune di Venezia era stato obbligato dopo avere perso in tutti i gradi di giudizio, a fermare un analogo sistema di monitoraggio (ARGOS) dopo che in ultimo grado la Corte di Cassazione aveva scritto in modo chiaro: «...I dispositivi di monitoraggio impiegati devono essere dichiarati di "tipo omologato" Sul punto va di nuovo richiamato il recente indirizzo seziona le, (Cass. n. 20492/2024, cit.), che il Collegio condivide e al quale intende da re continuità, secondo cui l'esplicito riferirnento normativo all'obbligatorietà dell'omologazione è in linea con il più generale principio di garanzia in materia di accertamenti rimessi a mezzi tecnici di rilevamento automatico: l'omologazione, infatti, consiste in una procedura che - pur essendo amministrativa - ha anche natura necessariamente tecnica; tale specifica con notazione risulta finaIizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l'attività di accertamento da parte del pubblico ufficia le legittimato: requisito, questo, che costituisce l'indispensabile condizione per la legittimità dell'accerta mento stesso (Cass. n. 10505/2024)...».

L’operazione del Comune di Venezia, seppure formalmente presentata come iniziativa per la tutela della laguna e per il contenimento del moto ondoso e che si badi, non viene messa in discussione da nessuno, si configura come priva di fondamento normativo e gravemente lesiva dei diritti dei cittadini e degli operatori economici. L’insistenza nell’impiego di sistemi elettronici di rilevamento privi di omologazione, in aperto contrasto con quanto previsto dall’art. 45, comma 6, del Codice della Strada e dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, solleva interrogativi di estrema rilevanza sul piano della legalità amministrativa e della trasparenza dell’azione pubblica.
Particolarmente allarmante è la gestione dei dati sensibili raccolti da tali dispositivi. Il sistema SISA, cuore tecnologico dell’infrastruttura, risulta gestito da VENIS S.p.A., società a partecipazione mista pubblico-privata, della quale è socio ACTV, gestore del trasporto pubblico lagunare. Questa situazione crea un evidente conflitto di interessi, poiché ACTV è soggetto alle medesime regole di circolazione ma beneficia di limiti di velocità più elevati (11 km/h) rispetto ai 7 km/h imposti agli altri utenti. Tale disparità configura una violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione e produce un vantaggio competitivo indebito a favore di un operatore economico partecipante alla società che gestisce il sistema sanzionatorio.

Non va trascurato che il sistema SI.SA.oltre alla funzione di rilevamento della velocità, raccoglie una mole significativa di dati sensibili, inclusi tracciamenti, immagini e metadati di navigazione. L’affidamento della gestione di tali informazioni a una società con componente privata comporta seri rischi per la tutela della privacy e per la conformità al Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), soprattutto in assenza di garanzie effettive sul controllo pubblico, sulla minimizzazione del trattamento e sulla protezione dei dati da accessi non autorizzati.
La combinazione di assenza di omologazione, conflitti di interesse strutturali e criticità nella gestione dei dati sensibili configura un quadro in cui l’intera operazione appare non solo illegittima ma potenzialmente idonea ad integrare ipotesi di reato, tra cui abuso d’ufficio, trattamento illecito di dati e falso ideologico, con conseguente possibilità di sequestro preventivo dell’intero sistema e di annullamento delle sanzioni elevate.
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