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SafeDrive: l’autovelox che lo Stato non riconosce. Quando i cittadini diventano il banco di prova.

Le risposte formali di MIT e MIMIT sul sistema “Autovelox SafeDrive” parlano chiaro, negli archivi ministeriali non risultano domande di approvazione, omologazioni, test di laboratorio né documentazione metrologica. Eppure un Comune lo usa su strada per selezionare e sanzionare conducenti, con effetti concreti su portafogli, punti patente e fiducia nelle istituzioni.


Il Comune usa un sistema elettronico che MIT e MIMIT non riconoscono
Il Comune usa un sistema elettronico che MIT e MIMIT non riconoscono

Nel caso del sistema “Autovelox SafeDrive” il paradosso è evidente già nella carta, prima ancora che in strada. Da un lato c’è una apparecchiatura elettronica commercializzata da una società privata come strumento dedicato al controllo della circolazione e alla produzione di “prove chiare e inconfutabili” sull’uso del cellulare e delle cinture di sicurezza da parte dei conducenti. Dall’altro, ci sono le risposte ufficiali dei ministeri che, per legge, dovrebbero presidiare sicurezza stradale e metrologia legale degli strumenti usati con effetti giuridici.


Servizio Rai 2 del 17 settembre 2025

Risposta MIT del 10.11.2025
Risposta MIT del 10.11.2025

In base alle istanze di accesso presentate da Altvelox, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dichiarato di non detenere alcuna documentazione sul dispositivo denominato “Autovelox SafeDrive”. Nessuna domanda di approvazione o omologazione, nessun decreto dirigenziale, nessun verbale di prove in laboratorio, nessun fascicolo tecnico. Semplicemente, negli archivi del MIT lo strumento non esiste.


Ancora più spiazzante è la risposta del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, titolare della filiera della metrologia legale: l’ufficio competente ha affermato di non possedere atti o provvedimenti relativi al SafeDrive e di non considerare il dispositivo riconducibile alle attività di propria competenza. In sostanza, lo strumento non rientra neppure nel perimetro di vigilanza formale del MIMIT, nonostante sia usato per fondare accertamenti che incidono su diritti e patrimonio dei cittadini. Il quadro che emerge è quello di un “non sistema”.


Una tecnologia proprietaria, basata su algoritmi di intelligenza artificiale che analizzano immagini di veicoli e persone, viene installata su una strada regionale e utilizzata per selezionare i conducenti da fermare e sanzionare per violazioni agli articoli 172 e 173 Codice della strada. Al tempo stesso, i Ministeri tecnici dichiarano per iscritto di non avere mai ricevuto istanze, non aver svolto prove, non aver rilasciato titoli abilitativi, non aver tracciato la filiera metrologica dello strumento.


Per il costruttore non serve omologazione
Per il costruttore non serve omologazione

Non si tratta di un vuoto burocratico innocuo. La metrologia legale, dal Regio Decreto 7088 del 1890 fino alle norme MID e al D.M. 21 aprile 2017, impone che ogni strumento usato a “scopi legali” sia sottoposto a verificazione prima, verifiche periodiche e vigilanza di mercato, con atti formali e pubblici. Qui invece siamo di fronte a un dispositivo che viene presentato come in grado di fornire la prova dell’illecito, ma che, secondo gli atti disponibili, non risulta oggetto di alcuna procedura metrologica né di un decreto di ammissione alla verifica legale.


Il risultato concreto è che un sistema che lo Stato, tramite i Ministeri competenti, dichiara di non conoscere sul piano tecnico e metrologico viene testato sul traffico reale, con sanzioni elevate anche grazie alle segnalazioni generate dall’apparecchio. I cittadini pagano verbali, subiscono decurtazioni di punti e, in alcuni casi, ritiri di patente sulla base di rilevazioni prodotte da una “scatola nera” che non è stata omologata né sottoposta a verifiche pubbliche. La verifica di legalità si sposta così a valle, davanti al giudice, costretto a fare i conti con uno strumento privo di tracciabilità amministrativa.


Per evitare fraintendimenti, non si mette in discussione la necessità di contrastare chi guida usando il telefonino o senza cintura, principali cause e concause dei più gravi incidenti. Si contesta invece la scelta di farlo con un dispositivo che, allo stato degli atti, non risulta incardinato nel sistema di garanzie previsto dalla legge.


Adesso la valutazione su eventuali responsabilità amministrative, contabili o penali spetta esclusivamente alle Autorità giudiziarie e contabili. Ma una domanda, legittima, resta sul tavolo: è accettabile che un Comune sperimenti su cittadini reali uno strumento che i Ministeri tecnici dichiarano di non poter documentare, né sul piano metrologico né su quello autorizzativo?


Gianantonio Sottile Cervini



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