Vittorio Veneto (TV): Autovelox senza omologazione, sentenze contro legge e il “regalo” alla Pubblica Amministrazione
- Altvelox
- 4 giorni fa
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Vi raccontiamo due anni di "battaglie" legali e ingenti somme spese da un nostro associato per contestare in nome della giustizia una multa da 32 euro. Ecco come il Prefetto e Giudice di pace hanno respinto i ricorsi e come il Tribunale di Treviso abbia annullato la multa illegittima del Comune di Vittorio Veneto senza però riconoscere il danno economico sostenuto.

ll caso che riportiamo oggi sul blog di Altvelox è emblematico di una vicenda che non può più essere taciuta, perché racchiude in sé tutte le criticità del sistema sanzionatorio basato sull’uso distorto dei rilevatori elettronici di velocità. Parliamo di autovelox privi di omologazione, di verbali redatti con attestazioni giuridicamente false, di ricorsi respinti con motivazioni contra legem da parte del Prefetto e del Giudice di Pace, e infine di una sentenza del Tribunale di Treviso che, pur riconoscendo l’illegalità dell’intero procedimento, ha deciso di non risarcire le spese sostenute dall’automobilista da noi assistito. Un epilogo che lascia l’amaro in bocca, perché se da un lato conferma le battaglie legali condotte dalla nostra Associazione, dall’altro perpetua un meccanismo che continua a penalizzare i cittadini e a favorire la Pubblica Amministrazione.
Abbiamo pertanto deciso di investire della vicenda i massimi livelli istituzionali e giudiziari, presentando formale denuncia alla Corte di Cassazione, al Consiglio Superiore della Magistratura, al Ministro della Giustizia e all’Ispettorato generale presso il Ministero, affinché venga fatta piena luce sui fatti che di seguito esponiamo.
I fatti: il verbale del Comune di Vittorio Veneto

Il nostro associato (OMISSIS) era stato raggiunto da un verbale di contestazione per presunto superamento dei limiti di velocità sulla viabilità del Comune di Vittorio Veneto. Nel verbale, come ormai prassi consolidata in molti Comuni italiani, veniva dichiarato che il dispositivo elettronico utilizzato era “omologato” dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Una formula apparentemente neutra, ma in realtà gravissima, perché falsa. L’apparecchio in questione, infatti, era stato soltanto approvato e non omologato.
La differenza non è un tecnicismo. L’articolo 142, comma 6, del Codice della Strada è chiaro: la velocità può essere accertata unicamente mediante dispositivi debitamente omologati. L’articolo 45 CdS ribadisce che gli apparecchi elettronici destinati all’accertamento delle violazioni devono essere sottoposti a omologazione ministeriale. Non a una generica “approvazione”.
Già la Corte Costituzionale con la sentenza n. 113/2015 e, in modo ancor più netto, la Corte di Cassazione con una lunga serie di pronunce, ha chiarito che approvazione e omologazione non sono concetti sovrapponibili. Omologazione significa verifica tecnica e giuridica completa, approvazione è un atto amministrativo di minore portata. Dichiarare omologato ciò che non lo è equivale, dunque, a una falsa attestazione.
I ricorsi e i rigetti contra legem

Il nostro associato non si è arreso seppure la multa fosse di soli 32 euro, ha proposto ricorso al Prefetto di Treviso, evidenziando la mancanza del decreto di omologazione e la falsità della dichiarazione contenuta nel verbale. Il Prefetto ha respinto l’istanza, sostenendo che l’approvazione fosse sufficiente. Un rigetto motivato in aperto contrasto con la legge e con la giurisprudenza consolidata.
A questo punto si è passati al Giudice di Pace di Conegliano Veneto. Anche in questa sede il ricorso è stato respinto, riproponendo la medesima lettura distorta: approvazione e omologazione sarebbero equivalenti. Non è così. La legge non consente interpretazioni alternative. Non esistono due orientamenti giurisprudenziali, ma uno solo: quello che conferma l’obbligo di omologazione.
Il risultato? Il cittadino si è visto confermare la multa, è stato costretto a sostenere ulteriori spese legali e si è trovato prigioniero di un sistema che nega la giustizia in nome di un formalismo volto a salvaguardare gli interessi economici delle amministrazioni locali.
La svolta davanti al Tribunale di Treviso

La vera inversione di rotta è arrivata solo con l’appello davanti al Tribunale di Treviso. Il giudice di merito ha riconosciuto quanto da noi sempre denunciato: il decreto prefettizio che confermava la multa era illegittimo, la sentenza del Giudice di Pace di Vittorio Veneto era viziata da un’interpretazione contra legem, il verbale del Comune fondato su una falsa dichiarazione di omologazione.
Conseguenza inevitabile: la sanzione è stata annullata. Un riconoscimento importante, che conferma la correttezza delle nostre tesi giuridiche e smonta il castello di motivazioni artificiose costruito per legittimare l’uso di strumenti non conformi.
Tuttavia, proprio quando sembrava di poter finalmente parlare di giustizia, è arrivata la beffa: il Tribunale ha deciso di non riconoscere il risarcimento delle spese sostenute dall’automobilista per difendersi. Tutto ciò, nonostante fosse evidente che la parte lesa aveva dovuto affrontare un lungo percorso giudiziario a causa di errori e omissioni imputabili unicamente alla Pubblica Amministrazione.
Il danno economico scaricato sul cittadino
Qui sta il vero nodo della questione. Se è vero che la multa è stata annullata, è altrettanto vero che il cittadino ha dovuto anticipare centinaia di euro tra ricorsi, spese legali e contributi unificati. Senza alcun rimborso.

In pratica, l’amministrazione comunale emette verbali fondati su presupposti falsi, il Prefetto li conferma senza verificare o denunciare, il Giudice di Pace li avalla ignorando la legge e quando finalmente il Tribunale interviene per annullare tutto, chi paga? Sempre il cittadino. La Pubblica Amministrazione, responsabile della catena di illegittimità, non solo non viene sanzionata, ma beneficia di un “regalo” processuale: l’assenza di condanna alle spese.
È difficile non vedere in questo epilogo un segnale distorto: lo Stato, attraverso i suoi organi periferici e giudicanti, può sbagliare, persino violare la legge, ma alla fine non paga mai. L’onere economico e psicologico resta sulle spalle del singolo automobilista.
Un vulnus alla legalità costituzionale
La vicenda mette in luce un vulnus profondo al principio di legalità e al diritto di difesa sanciti dall’articolo 24 della Costituzione. Non basta che la multa sia annullata: occorre che la parte lesa sia integralmente ristabilita, anche sotto il profilo economico. Diversamente, si svuota di significato la tutela giurisdizionale.
Inoltre, la prassi di dichiarare “omologati” dispositivi che non lo sono configura un fatto che, come affermato dalla Cassazione, deve essere perseguito penalmente con denuncia-querela. Non è solo un vizio amministrativo: è una falsa attestazione che altera la fede pubblica e incide direttamente sui diritti patrimoniali dei cittadini.
Le battaglie di Altvelox e il futuro della giustizia stradale
Altvelox, attraverso 156 di denunce-querela e centinaia di ricorsi, ha sempre sostenuto che l’uso di autovelox privi di omologazione rappresenta non soltanto un abuso amministrativo, ma una violazione grave del sistema giuridico. Questo caso lo dimostra ancora una volta.
Il Tribunale di Treviso ha riconosciuto l’illegalità della multa, ma la mancata condanna alle spese lascia aperto un interrogativo: che valore ha la giustizia se non ristabilisce la piena parità delle parti? E soprattutto, quale incentivo hanno le amministrazioni comunali a rispettare la legge, se alla fine possono continuare a incassare sanzioni illegittime senza dover rispondere del danno arrecato ai cittadini?
Serve una riforma urgente e radicale che imponga, nei casi di annullamento per mancanza di omologazione, la condanna automatica alle spese a carico dell’amministrazione. Solo così si potrà ristabilire un minimo di equilibrio e restituire fiducia nella giustizia. Non serve un censimento degli autovelox basta rispettare norme e leggi vigenti e prendere in seria considerazione la sicurezza stradale senza tirarla in ballo solo quando serve per legittimare una attività sanzionatoria chiaramente fatta per sistemare i bilanci.
Conclusione
La vicenda di Vittorio Veneto non è un caso isolato. È l’ennesima prova di un sistema che utilizza i dispositivi elettronici come strumenti di cassa, in violazione della legge e a danno dei cittadini. Il Prefetto respinge i ricorsi, il Giudice di Pace conferma, il Tribunale annulla ma non risarcisce. In mezzo, ci sono persone che spendono tempo e denaro per difendersi da atti illegittimi.
AltVelox continuerà a denunciare, a ricorrere, a portare avanti ogni azione necessaria affinché la verità giuridica sia riconosciuta. Perché non chiediamo scorciatoie, chiediamo solo legalità. Quella stessa legalità che troppo spesso viene piegata alle esigenze di bilancio dei Comuni e che, senza una presa di posizione forte, rischia di restare lettera morta.
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